L’OPINIONE DEL FILOSOFO

Tensione teologica e rivoluzione in Walter Benjamin

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Nel ripercorrere l’eredità politica etica della seconda metà del XX secolo e la sua validità, le teorie della giustizia e della cittadinanza, che hanno Rawls e Habermas come massimi rappresentanti, partivano dal contratto sociale keynesiano e dalla pretesa di garantire i diritti sociali e del lavoro.

Se tali quadri teorici sono stati messi in crisi dall’estensione della precarietà nel contesto attuale, a causa delle trasformazioni economiche e sociali degli ultimi tre decenni, in cui il neoliberalismo si è rafforzato grazie all’aumento delle disuguaglianze, della precarietà della vita per l’eccessivo sfruttamento del lavoro e quella che possiamo chiamare la “produzione di massa della vulnerabilità", la domanda che ci poniamo è la seguente: quale etica e quale politica dobbiamo elaborare per opporci e resistere all’attuale crollo dell’uguaglianza e produzione di massa della vulnerabilità, nell’era della precarietà della vita?

La nostra risposta, in questo contesto, sarà alla maniera di Walter Benjamin, ponendo a confronto il suo intreccio inconfondibile di teologia e rivoluzione. Nella “teologia ribelle” di Benjamin, piccola e brutta e che non deve farsi vedere, come scrive nelle tesi “Sul concetto di storia”, questa visione è capace di una critica dell’esistente, che la separa dalle religioni istituite e dalle teorie e pratiche vigenti.

Quando, durante le celebrazioni per i 500 anni della scoperta dell’America la televisione brasiliana “ O Globo” costruì un enorme quadrante che contava i minuti fino al giorno dell’anniversario, due giovani indiani crivellarono con le loro frecce questo “orologio dei vincitori”, non avevano certamente mai letto il passo di Benjamin sui rivoluzionari del 1830 che sparano sugli orologi di Parigi.

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Quando Michael Löwy, l’esegeta di Benjamin, in “Segnalatore di incendio” ci introduce al romanticismo, messianismo e marxismo di Walter Benjamin attraverso un’attenta lettura delle tesi “Sul concetto di storia”, cita l’episodio come simbolo di una lettura a contropelo della storia, dalla parte dei vinti, che è stato uno dei temi decisivi del pensiero di Benjamin.

Che rapporto ha questa tensione teologica con la rivoluzione, che in Benjamin forma con essa una diade indissolubile nella prima tesi “Sul concetto di storia”?

Löwy ricorda che la rivoluzione per Benjamin non è la locomotiva che porta avanti il progresso della storia, secondo l’immagine di Marx, ma un “freno d’emergenza”, che bisogna azionare per porre fine al catastrofico sfruttamento capitalista sugli uomini e sulla natura. Un saccheggio che – se non arrestato in tempo – può portare a una desolazione senza ritorno ed alla fine della nostra specie.

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In quanto freno d’emergenza la rivoluzione obbedisce a due impulsi distinti e complementari: negare e trascendere la condizione disumana del capitalismo e redimere i vinti ed emarginati riscattando il passato. La teologia messianica e l’idea di rivoluzione hanno due tratti in comune: il desiderio di redenzione che vorrebbe ricomporre le vite spezzate e incompiute, riscattare il passato e il “carattere distruttivo” della rivoluzione, che intende porre fine a ogni vincolo di signoria e servitù.

cms_24297/f2.jpgLöwy ricorda come nel saggio sul surrealismo Benjamin rivendica la necessità di conquistare alla rivoluzione le forze dell’ebbrezza, che negli anni Trenta venivano strumentalizzate dal fascismo e inchiodate a una radice di terra e di sangue, come in Nietzsche o Pavese. L’immagine del sogno di una felicità dell’origine, come quella che affiora nell’ebbrezza dionisiaca ricordata da Benjamin alla fine del suo libro “Strada a senso unico”, deve essere strappata alla sua natura mitica e deve divenire una immagine dialettica, come rimemorazione del passato, prefigurazione di ciò che non è mai stato e risposta all’urgenza della lotta di classe nel tempo presente. Per Benjamin l’ebbrezza significa dissoluzione dei vincoli di potere e dell’Io rigido, forgiati al servizio del fascismo e del capitalismo.

Se nel libro sui “passages” di Parigi è la merce col suo feticismo a divenire il “fenomeno originario” del capitalismo, nel suo fantasmagorico movimento, alla frenesia fascinatoria delle merci Benjamin oppone la sua “teologia rivoluzionaria”. Contro il “capitalismo come religione”, in cui il vivente è offerto in sacrificio e gravato da un debito-colpa inestinguibile, Benjamin lancia il suo “avviso d’incendio”, un allarme contro l’ideologia del progresso e una premonizione della catastrofe che si avvicina se non si cambia il modello di sviluppo, che si esprime attualmente nel pensiero critico e nell’ecologia radicale.

La tensione rivoluzionaria si alimenta delle immagini utopiche di un rapporto armonico con la natura, come fu descritto da Fourier, ed è presente nel “romanticismo rivoluzionario” di Benjamin, il quale non ha nulla di nostalgico e di regressivo. Il suo concetto di rivoluzione antropologica non mira a un rapporto di dominio sulla natura, ma al rapporto armonioso fra natura e umanità.

Gabriella Bianco

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