DIRITTI E SOCIETA’

Minori sottratti alle famiglie di origine: tutela o abuso?

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cms_24072/1v.jpgUno dei casi più eclatanti e discussi della cronaca giudiziaria recente è il cosiddetto “caso Bibbiano”. Nella fattispecie, la Procura aveva ricevuto, da parte dei servizi sociali del luogo, numerose segnalazioni di abusi sessuali in danno di minori. Le indagini della Procura per mezzo di intercettazioni avevano, invece, fatto emergere una prassi consolidata secondo la quale era sufficiente una mera segnalazione da parte di un qualunque soggetto vicino alla famiglia ed al minore o la parola distratta dello stesso per creare in capo allo stesso un caso di abuso. Seguivano provvedimenti giudiziari urgenti da parte delle autorità competenti, volti ad ordinare l’allontanamento dei minori coinvolti, dalle famiglie di origine, sulla base di dati non oggettivi e non verificati. Le relazioni dei servizi sociali riportavano dati non veritieri o estremamente falsati al punto da risultare totalmente difformi dalla realtà.

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I minori, dopo l’allontanamento dalla famiglia, venivano affidati ad istituti pubblici gestiti da una Onlus. Ciò che emerge dalle ulteriori intercettazioni della Procura è che i minori in questione venivano coartati nella loro volontà, plagiati per estorcere loro dichiarazioni su presunti abusi sessuali subìti, oltre ad ulteriori manipolazioni messe sempre in atto da psicologi ed altri addetti ai lavori. Estorte simili “confessioni”, i minori venivano affidati a conoscenti e parenti dei soggetti coinvolti.

Peraltro, i minori venivano fatti seguire da psicologi privati che chiedevano per ogni seduta importi molto più elevati degli psicoterapeuti dell’Asl, provocando, così, in capo agli stessi un danno economico oltre che morale.

cms_24072/3v.jpgLa Procura aveva chiesto il rinvio a giudizio per un rilevante numero di persone coinvolte nei fatti in esame; numerosi i capi di accusa formulati dal Gip nei confronti dei soggetti indagati, tanto da provocare la reazione energica del mondo della giustizia, di quello politico, religioso e laico. L’ordinanza contemplava reati gravi, quali maltrattamenti su minori, frode processuale, violenza privata, depistaggio, falso in atto pubblico, tentata estorsione, lesioni gravissime, peculato, abuso d’ufficio. In sostanza, un sistema di mala gestione degli affidamenti dei minori nel quale diversi attori manipolavano le testimonianze dei bambini per allontanarli dalle famiglie di origine e affidarli, dietro illecito compenso, a persone e famiglie di loro conoscenza. L’aspetto preponderante della vicenda è l’assenza di un effettivo controllo e vigilanza sull’iter degli affidamenti, scaturito dall’eccessivo potere discrezionale in capo ai servizi sociali che, con condotte illecite e consolidate, senza garanzia alcuna, decidevano sul futuro di soggetti fragili e indifesi, bypassando le norme base del diritto minorile sulla difesa di infanzia e adolescenza, oltre che quelle sul contraddittorio giurisdizionale.

cms_24072/4v.jpgIl caso in esame ha dato avvio ad una serie di provvedimenti come la l. 29 luglio 2020 n. 107 con la quale è stata istituita una Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività connesse alle strutture-comunità che accolgono minori.

Nello specifico, la Commissione ha il compito di accertare lo stato degli affidatari, le condizioni effettive dei minori affidati, nel rispetto del principio di temporaneità che deve caratterizzare gli affidamenti. Verificare, altresì, il numero dei provvedimenti giurisdizionali ex artt. 330- 332-333 c.c. e relativo esito, modus operandi dei servizi sociali e loro ruolo nel processo. Verifica che si estende, come è ovvio, allo stato delle comunità di tipo familiare, ai requisiti minimi strutturali, di organizzazione, assistenza, oltre che all’utilizzo, da parte delle medesime, di risorse pubbliche e private. Il controllo è quindi, sull’effettività o meno del diritto del minore a crescere ed essere educato nella propria famiglia e sull’allontanamento dalla stessa solo ove non si trovi soluzione alternativa e meno estrema; inoltre, sul fatto che il rimedio residuale dell’allontanamento dalla famiglia di origine non può essere disposto solo per ragioni meramente economiche, di indigenza dei genitori, come dispone l’art. 1 in combinato disposto con l’art. 79-bis l. n. 184/1983.

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Ulteriore verifica è sull’ottemperanza a quanto disposto dal Consiglio Superiore della Magistratura circa il divieto di esercizio della funzione di giudice onorario minorile per chi rivesta cariche rappresentative nelle strutture ove vengono ospitati i minori su provvedimento dell’autorità giudiziaria, per chi lavori presso tali strutture anche a titolo gratuito o ricopra incarichi negli organi di gestione delle stesse. La legge interviene, inoltre, a modificare la citata l. n. 184/1983 su adozione e affido, con l’introduzione, all’art. 2, del comma 3-bis, il quale dispone che “I provvedimenti adottati ai sensi dei commi 2 e 3 devono indicare espressamente le ragioni per le quali non sia possibile procedere ad un affidamento ad una famiglia, fermo restando quanto disposto dall’articolo 4, comma 3”. Compito della Commissione d’inchiesta sarà, dunque, sia quello di verificare l’efficacia della normativa vigente nella sua applicazione concreta, sia il rispetto di ogni prescrizione di legge da parte di tutti coloro che gravitano nelle procedure riguardanti minori. Se nel caso Bibbiano ed altri analoghi il diritto di ascolto del minore nel procedimento che lo interessa è stato negato e calpestato, una recente sentenza (Cass. civ., 2020 n. 16410) ha ribadito con fermezza l’intangibilità di tale diritto riconosciuto a livello sia nazionale che internazionale, affermando che integra violazione del principio del contraddittorio e dei diritti del minore, il mancato ascolto dello stesso in assenza di un’espressa motivazione concernente l’assenza di capacità di discernimento del medesimo. L’omessa audizione è pertanto ammissibile solo ove vi siano ragioni specifiche, dettagliate, esplicitate, che vadano in tal senso.

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Il minore è parte processuale e la sua posizione non può essere pretermessa nei procedimenti che lo interessano. Sul tema dell’audizione del minore la Suprema Corte è intervenuta da ultimo con un’ulteriore pronuncia (ordinanza Cass. civ., 2020 n. 25653) nella quale ha ribadito che l’ascolto del minore integra una forma imprescindibile di partecipazione, che può essere disattesa solo in certi limitati e specifici casi. Infatti, “l’audizione del minore infradodicenne, capace di discernimento, costituisce adempimento previsto a pena di nullità, in relazione al quale incombe sul giudice un obbligo di specifica e circostanziata motivazione…non solo se ritenga il minore infradodicenne incapace di discernimento ovvero l’esame manifestamente superfluo o in contrasto con l’interesse del minore, ma anche qualora il giudice opti, in luogo dell’ascolto diretto, per un ascolto effettuato nel corso di indagini peritali o demandato ad un esperto al di fuori di detto incarico, atteso che l’ascolto diretto del giudice dà spazio alla partecipazione attiva del minore al procedimento che lo riguarda, mentre la consulenza è indagine che prende in considerazione una serie di fattori quali, in primo luogo, la personalità, la capacità di accudimento e di educazione dei genitori, la relazione in essere con il figlio”. Tale principio, prima ancora che di matrice giuridica è un valore pedagogico importante, posto che il bambino ha comunque una volontà propria, un sentire che esprime anche se con linguaggio non sempre decifrabile al pari di quello di un adulto. È rimesso pertanto alla sensibilità del giudice, degli esperti e consulenti tecnici del medesimo, ascoltare e valutare con attenzione la volontà del minore.

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Il caso Bibbiano non risulta isolato, essendo numerosi i casi nei quali i minori vengono allontanati dalla famiglia di origine o dai parenti, sulla base di presupposti, più o meno strumentali, ma comunque estranei al dato legislativo o scarsamente aderenti allo stesso. Un ulteriore caso risalente a luglio 2020 è quello di un bambino di sei anni di Pavia, allontanato coattivamente da casa dello zio presso il quale viveva dopo la morte della madre. Pur essendo il bambino, sereno, ben educato e seguito, i servizi sociali competenti decidono di strapparlo - con l’intervento di un massiccio dispiegamento di forze dell’ordine - all’unico parente che se ne occupava, ritenendolo poco collaborativo, in quanto oppositivo alla terapia della dialisi alla quale era sottoposto. Pur essendosi attivato per riavere il nipote con sé, ci si chiede se questo non rappresenti una forma di abuso di potere e di violenza privata, nel quale il minore e la sua tutela non vengono nemmeno minimamente considerati. Il riferimento è anche ad un caso meno recente, nel quale la Corte di Cassazione, con sentenza 20928/2015, ha riconosciuto ai genitori di una bambina allontanata da casa, da parte dei servizi sociali, senza giustificato motivo, il danno biologico e morale. Nella fattispecie, i servizi sociali, sulla base di una segnalazione dell’insegnante d’asilo della bambina, relativa ad un sospetto abuso sessuale, avevano ottenuto dal Sindaco un provvedimento di allontanamento dall’ambiente familiare per darla in affidamento al Comune, provvedimento in seguito revocato dal tribunale per i Minorenni per insussistenza del fatto di reato. Il Comune è stato così chiamato a rispondere ai sensi dell’art. 2049 c.c. per la condotta colposa dei propri dipendenti. In tal caso, pur non ravvisandosi dolo nella condotta dei servizi sociali, il loro operato è risultato gravemente colposo, stante la superficialità con la quale sono state condotte le indagini su una questione delicata che richiedeva rigore, perizia, diligenza. Alla luce di quanto esposto, pur senza avanzare critiche eccessivamente demolitorie avverso una normativa farraginosa che sembra presentare lacune e difficoltà applicative, non possono che ravvisarsi profili evidenti e preminenti di abuso nella condotta di tutti gli attori coinvolti nelle questioni minorili suddette.

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La tutela del minore, che dovrebbe essere il sommo obiettivo del giudice, diviene l’aspetto maggiormente trascurato, se non addirittura negato. La legge in materia minorile, pur se disorganica e frammentata è chiara nell’intento di preservare il minore da situazioni pregiudizievoli, privilegiando sempre, ove possibile, il mantenimento di un legame con la famiglia di origine. Ne consegue che le relazioni e segnalazioni dei servizi sociali dovrebbero essere sempre analizzate con puntualità, avvedutezza e completezza, contestualizzandole e tenendo sempre in debito conto le norme sul giusto processo riconosciute dalla Costituzione, prima ancora che dal diritto processuale e sostanziale. Ci si chiede pertanto se, oltre ad una riforma maggiormente organica su alcuni aspetti della materia minorile, non si possa auspicare una migliore applicazione delle norme esistenti, in virtù del garantismo che permea e caratterizza il nostro sistema giuridico.

Per maggiori approfondimenti : Associazione Legali Italiani – ALI (www.associazionelegaliitaliani.it)

Chiara Gambelunghe

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