L’IMPORTANZA DELLE NUOVE NARRATIVE

Non si può più dire niente?

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Dittatura del pensiero unico, politicamente corretto e limiti della satira. Nelle ultime settimane diversi eventi di cronaca hanno portato l’attenzione dell’opinione pubblica su queste tematiche.

cms_22236/1v.jpgIn un’epoca di grandi ristrutturazioni, in cui la società sembra finalmente decisa a scrollarsi di dosso la polvere di un sistema di pensiero vecchio di secoli, la paura del cambiamento può giocare brutti scherzi.

Una messa in discussione così forte dello status quo rischia di lasciare qualcuno indietro. Catcalling, DDL Zan, la gaffe degli occhi a mandorla a Striscia la notizia, lo sketch dal retrogusto amaro dei due comici pugliesi che forse si spingono troppo in là con i consigli.

La domanda che sembra tormentare le folle è più o meno sempre la stessa:

“Ma allora, non si può proprio più dire niente?”

Al di là delle opinioni personali, immaginare una risposta univoca a tale quesito è pura utopia. Può tornarci utile in questo caso ribaltare la prospettiva.

Il punto non è solo riflettere su cosa sarà considerato giusto/sbagliato dire/fare in futuro. Forse sarebbe più utile chiedersi: “Come è stato fin’ora, va bene?”.

Il fatto che storicamente le cose siano sempre andate in un certo modo, non vuol dire che siano giuste. Difatti, sono i processi di costruzione di significato a determinare la realtà che ci circonda e occorre quindi soffermarsi ad analizzare le narrative dominanti per comprendere al meglio le dinamiche sociali.

Chi ha più potere però, non solo tende a volerlo mantenere ma ha di solito anche più voce in capitolo nella costruzione delle suddette narrative. È questo il circolo vizioso che porta le classi dominanti a conservare il loro ruolo, a scapito delle minoranze che invece si ritrovano sempre a soccombere.

Per legittimare il cambiamento sono necessarie quindi narrative nuove ed è proprio in questo stadio, la fase di riconoscimento, che viene richiesto un piccolo sforzo.

Anche le leggi possono avere una funzione pedagogica. Eccone un esempio: nel 2003 viene emanata la legge Sirchia a “Tutela della salute dei non fumatori”, che estende il divieto di fumo a tutti i locali chiusi, compresi i luoghi di lavoro privati o non aperti al pubblico, gli esercizi commerciali e di ristorazione, i luoghi di svago, le palestre e i centri sportivi.

In un tempo ragionevolmente breve tutti si sono abituati a questa nuova norma e ad oggi nessun fumatore si sognerebbe di accendere una sigaretta all’interno di un locale.

Se avessimo dovuto aspettare che questo cambiamento partisse dai fumatori stessi, probabilmente bar e cinema sarebbero ancora coperti da una coltre di fumo.

Da questo aneddoto possiamo ricavare due insegnamenti fondamentali:

1-Chi detiene un privilegio non lo cederà mai spontaneamente.

2-L’inversione di tendenza richiede un approccio coercitivo, per lo meno all’inizio.

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Un esplicito sostegno sociale e istituzionale contribuisce di fatto a creare norme nuove. Ad esempio, nella storia del superamento della discriminazione razziale un ruolo fondamentale è stato svolto da tutte quelle sentenze e leggi che hanno contribuito a modificare la mentalità della popolazione, definendo come non accettabile una serie di comportamenti ispirati dal pregiudizio razziale, e viceversa come possibile una serie di comportamenti ritenuti in precedenza nemmeno immaginabili.

In ogni modo abbiamo tutti gli elementi per nutrire aspettative positive sul futuro. Del resto già il solo fatto che certi interrogati vengano posti è indice di un profondo cambiamento, sintomo di una cultura che finalmente si ritrova a ragionare su sé stessa e tenta di risolversi, un po’ come un adolescente che passa tutto il tempo a guardarsi allo specchio, nella speranza di far pace con i difetti che si vede addosso.

Ludovico Aniballi

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